Quelle che oggi chiamiamo “Le Stanze di Raffaello” in Vaticano, le più celebri opere del Rinascimento, prendono il nome dal si tanto celebre pittore Raffaello che dal 1509 al 1517 ne curò l’apparato decorativo. Ma quelle stanze, costruite sotto papa Niccolò V, furono inizialmente decorate da Benedetto Bonfigli, Andrea del Castagno, Bramantino, Bartolomeo della Gatta, Luca da Cortona e Piero della Francesca, tutti artisti di primissimo ordine. Solo successivamente Papa Giulio II ordinò di “buttare a terra” tutte le storie di questi maestri perché occupavano lo spazio che meritava solo Raffaello. E, sebbene è davvero difficile immaginare che il buono e onesto Raffaello sia stato anche l’artefice di quella distruzione, fatto sta che quelle sono diventate “Le Stanze di Raffaello”.
Oggi a nessuno verrebbe in mente di buttare a terra gli affreschi antichi per fare spazio a nuovi artisti con diversi linguaggi espressivi, ma quelle metriche monumentali, quei lunghi cicli di racconti e quelle sfide tra artisti possono essere ancora ritrovate nel panorama artistico della “street art”.
L’arte di strada manifesta nel luogo in cui si trova il suo più forte messaggio: rivendicando una funzione estetica, pubblica e libera dello spazio urbano. Esprimendo un fortissimo legame tra opera e contesto sociale, soprattutto, laddove spesso, la speculazione edilizia dietro algide e erte mura mistifica il progresso stravolgendo identità, sacri luoghi e bellezza paesaggistica.
Murales, graffiti, stencil e adesivi possono essere il simbolo del coraggio e della resistenza contro il pensiero diffuso, sopra le regole e le leggi, fino, talvolta, a sfociare nell’atto vandalico e nell’anarchia. Ne è un caso il centro storico di Napoli, dove un writer sconosciuto cancellò con un graffito l’opera del famoso Banksy, e qualcun altro, per timore che potesse riaccadere, ha chiuso in una discutibile teca l’altra opera che ancora resta in città del famoso artista.
La street art paga il prezzo della libertà d’espressione con la carenza di tutele e di garanzie. Nessun valore aggiunto a quello artistico e simbolico, nessun prezzo se non le spese vive del lavoro dell’artista. Non ci sarà alcun mercato a valutare il costo e a quantificare la bellezza. L’opera lega all’opinione di chi vive il quartiere, di chi ha quindi ha una relazione diretta con essa, l’esclusivo giudizio estetico e morale.
Come tutte le cose che non hanno un tetto, l’arte di strada dura il tempo della giovinezza, vive deteriorandosi. E’ sempre figlia degli eventi e solo sorella della storia, per questo motivo è molto raro che riesca ad entrare nei libri. Per lei non vale la massima “ai posteri l’ardua sentenza”, non ha gloria, vive sulla bocca dei presenti la sua cronaca, fintanto che non trova un Papa capace di ammansirla e introdurla in casa, come è capitato ai migliori Basquiat, Haring e Banksy, ma essa non nasce come arte da stanza, non glorifica Dio e non è dono dei fedeli, non esalta un impero né celebra uno Stato, non insegue il denaro né la gloria, bensì racconta e difende la comunità, in direzione ostinata e contraria, per strada, dove bisogna riportarla.
Giovanni Negri da Brusciano